Amazzone e addestratrice di origine francese con il pallino del Completo, da anni in Sardegna, Lucie Bardin ha portato nel mondo equestre un’idea nuova di relazione tra cavalli e persone fragili.
Mental coach e sofrologa, lavora sul confine tra crescita personale e recupero sociale, con progetti che offrono una seconda possibilità sia agli animali “scartati” che agli esseri umani in cerca di riscatto.
E’ particolarmente sensibile a questo tema: una sua carissima amica , Charlotte Masoye, una ecologista che militava per la protezione della foresta amazzonica, nel 2009 fu vittima di un tentato rapimento in Ecuador da parte di tre uomini sotto l’effetto di cocaina. Rifiutandosi di salire in taxi, le spararono alla schiena: la ragazza morì in ospedale dopo ulteriori, oscure vicissitudini.
Lucie Bardin ha sublimato in qualche modo il dolore per la perdita dell’amica riflettendo sul fatto che molti finiscano nella delinquenza per mancanza di opportunità, risorse o comprensione di altre strade percorribili, divenendo vittime a loro volta.
Fattori ambientali e dipendenze affettive contribuiscono a queste dinamiche.
Abbiamo intervistato Bardin per farci raccontare come nasce e dove vuole arrivare la sua idea di equicoaching.
Lucie, lei è francese ma vivi in Sardegna da molti anni. Come sei arrivata qui e che percorso ti ha portato a dedicarti all’equicoaching?
“Sì, sono francese ma ormai vivo qui da tanto. Il mio percorso è partito da una passione per i cavalli e per la formazione. A Bologna, nel 2008, avevo coordinato un corso per artieri legato a un progetto dell’Università. È stata un’esperienza bellissima, durata quasi un anno, e da lì ho capito che lavorare con le persone attraverso i cavalli poteva diventare qualcosa di molto più profondo. Oggi ho un’azienda agricola qui in Sardegna, dove allevo cavalli, e collaboro con una cooperativa sociale che è anche una comunità penitenziaria. Da quell’incontro è nato il desiderio di creare laboratori che unissero le mie competenze di mental coach e di sofrologa con il lavoro educativo e sociale”.
“Abbiamo iniziato con un laboratorio sperimentale. Io ho proposto di lavorare sullo sviluppo personale, ma anche su competenze pratiche utili al reinserimento. Il cavallo è diventato un mediatore straordinario: restituisce un feedback immediato, sincero, comportamentale. Ti fa vedere chi sei, senza giudicare. È un grande educatore, perché reagisce a come ti poni, non a quello che dici”.
Quindi il cavallo diventa uno specchio dell’anima, come spesso si dice.
“Assolutamente sì. È qualcosa che vedo ogni giorno. Le persone che hanno vissuto situazioni difficili – che siano detenzione, dipendenza, o semplicemente isolamento – spesso devono reimparare il rispetto delle distanze, la gestione della propria presenza. Il cavallo questo lo percepisce subito. Non serve spiegare nulla: nel momento in cui ti dà o ti nega il consenso ad avvicinarti, ti sta insegnando qualcosa di profondo su di te. E in Sardegna questo ha anche un significato culturale, perché qui il cavallo è molto presente. Fa parte della memoria collettiva, anche di chi non monta: c’è sempre un ricordo, una storia, un’emozione legata a un cavallo”.
Che cavalli usa in questi percorsi?
“Tutti cavalli che ho salvato. Negli anni si sono “accumulati”, come dico io: ognuno con la sua storia, qualcuno perché “cattivo”, qualcun altro perché non più utile allo sport o all’allevamento. Ho Sella Italiani, Purosangue Arabi, cavalli tedeschi… un piccolo branco molto vario. Ognuno ha un suo ruolo, una sua sensibilità. Per esempio, ho un cavallo Tedesco che ha un’empatia pazzesca: se una persona ha dolore da qualche parte, lui si mette con il muso proprio lì, come un gatto. Un Anglo-Arabo, invece, riesce sempre a individuare chi sta passando una brutta giornata e gli si avvicina per primo. Poi c’è Stella, una cavalla che “vede” la tristezza: passa in scuderia e si ferma davanti a chi sta male, spesso per lutti o separazioni. Sono storie incredibili, ma succede davvero. E con loro riesco a lavorare anche sulle emozioni più nascoste”.
È bellissima l’idea che questi cavalli, considerati “scarti del sistema”, possano diventare educatori.
“Esatto, ed è proprio da qui che nasce l’associazione che stiamo creando con un gruppo di amici: si chiamerà Dalle stalle alle stelle. L’obiettivo è dare una seconda possibilità sia agli animali che alle persone. Non solo cavalli, ma anche cani, gatti, pecore… tutti quelli che sono stati abbandonati o non più utili. Vogliamo coinvolgerli in attività di mediazione, di crescita personale e sociale. Non solo pet therapy, ma percorsi di valore reale, capaci di incidere nella vita quotidiana. Perché questi animali, che oggi “non valgono niente”, in realtà hanno tantissimo da dare”.

Il cavallo, in questo senso, è anche un ponte tra mondi diversi.
“Sì. E non è un caso se, con il progetto, sono nati contatti bellissimi: ad esempio collaboro con Effetto Palla, l’associazione fondata da Monica, che si occupa di animali salvati e progetti educativi. Con loro abbiamo fatto mediazione equina come supporto all’apprendimento delle lingue per i ragazzi delle scuole medie, soprattutto durante e dopo il periodo del Covid. Era un modo per aiutarli a riacquisire relazioni, fiducia, contatto umano. I cavalli, in questo senso, sono stati un aiuto enorme”.
Ha lavorato anche con ragazzi dislessici, giusto?
“Sì, è un tema che mi sta molto a cuore. Mi sono accorta che tanti dei miei allievi più empatici e “portati” con i cavalli erano dislessici. Hanno una sensibilità particolare, un’intelligenza emotiva altissima. Spesso però arrivano da esperienze scolastiche frustranti, dove la loro diversità non è stata capita. Con i cavalli, invece, trovano un linguaggio che funziona: non serve scrivere o leggere, serve sentire. È un terreno dove possono esprimersi e riuscire. Ricordo un ragazzo in particolare, fortemente dislessico: per l’esame del brevetto, per ricordare il colore del mantello del cavallo “sauro”, usavamo il nome di un istruttore, “Mauro”, così faceva l’associazione. Oggi quel ragazzo è diventato cavaliere professionista, ha studiato Scienze motorie e ha lavorato anche in Irlanda. Questo per me è il senso di tutto”.
La scuola, purtroppo, non sempre riesce a valorizzare queste differenze.
“Esatto. Gli insegnanti spesso non hanno la formazione adeguata sulle difficoltà specifiche, e allora i ragazzi vengono “parcheggiati”. Ma basterebbe poco: anche solo dire “scusami, oggi non riesco a spiegarti bene, non è colpa tua” può cambiare tutto. Loro hanno un grande desiderio di fare bene, di farti contento. Con i cavalli questo emerge tantissimo, perché lì la relazione è sincera: se non sei centrato, se sei arrabbiato, il cavallo te lo mostra subito. Io credo che l’equitazione, se affrontata con questa consapevolezza, possa diventare un campo straordinario di crescita personale e di inclusione”.
In fondo, è sempre una questione di relazione.
“Sì. Che sia con una persona in difficoltà, con un ragazzo dislessico o con un cavallo anziano, tutto parte da lì: dalla relazione, dal rispetto reciproco, dall’ascolto. Il cavallo ti obbliga a essere autentico, e questa è la sua grandezza. Il mio sogno è creare un modello replicabile, che possa servire a progetti di prevenzione del bullismo, di reinserimento, di supporto alle donne vittime di violenza. E allo stesso tempo dare dignità a tanti cavalli che non hanno più un ruolo nello sport o nell’allevamento. Una seconda possibilità per tutti: per le persone e per gli animali”.
Grazie, Lucie.
“Grazie a voi. È sempre un piacere poter parlare di cavalli in modo diverso, come maestri di vita”.
Il lavoro di Bardin è inserito all’interno di due progetti di inserimento lavorativo e sociale per persone provenienti dal circuito penale L.I.B.E.R.I (lavoro, inserimento, bilancio di competenze, esperienza, riscatto sociale, inclusione) della regione Sardegna, della durata di un anno, promossi dalla Cooperativa Sociale Comunità Il Seme onlus
- TE. LE. MA. CO (tessere legami e maturare competenze) 2 per il territorio città metropolitana di Cagliari, la provincia Sud Sardegna e la provincia di Oristano
 - N.E.S.T.O.R.E. (Nuova Economia Sociale dei Tirocini di Orientamento e Reinserimento 2025 per il territorio della provincia di Sassari.
In questo contesto, 24 tirocinanti sono inseriti in aziende del territorio, nell ambito dell agricoltura sociale, con tutor dedicati per ciascuno di loro, al fine di supportare il loro percorso inclusivo e di reinserimento sociale. In questi progetti sono previste misure di accompagnamento e di mentoring e azioni complementari sperimentali, tra le quali un laboratorio di sviluppo delle soft skills in ambito lavorativo, tenuto da Lucie Bardin il cui laboratorio prevede percorsi individuali di supporto al tirocinio di inclusione lavorativa e sociale, per persone provenienti dal circuito penale sui temi: - Emozioni in ambito lavorativo: riconoscerle e gestirle con l obiettivo di raggiungere un maggiore benessere sul lavoro attraverso una maggiore consapevolezza di sé e l applicazione di gestione dello stress, dell ansia e della rabbia grazie alla mediazione equina e la sofrologia
 - (Ri)acquisizione della distanza interpersonale, lavoro basilare sulla comunicazione non verbale, sviluppo delle capacità empatiche e apprendimento di elementi di comunicazione non violenta, Grazie alla mediazione equina.
 - Ottimizzazione del potenziale degli utenti, sviluppo di risorse utili all inserimento lavorativo (autostima, sicurezza, fiducia in sé ..) e di capacità di organizzazione, di lavoro in squadra, di problem solving e di pianificazione grazie all’equicoaching.
 




			
                
                



















